Corsi d’acqua naturali (La Molgora, La Molgoretta e il Rio Vallone) e artificiali (Canale Villoresi) del reticolo idrico principale attraversano il Parco da nord a sud e da est a ovest, costituendo l’ossatura dei corridoi ecologici su cui si fonda il Parco. Innumerevoli stagni (chiamati localmente Foppe) costellano il restante territorio

Il torrente Molgora

Il torrente Molgora (meglio sarebbe dire “La Molgora” come tornato a essere nominato negli elenchi ufficiali dei corsi d’acqua e come storicamente veniva chiamato) nasce in due rami nei comuni di Colle Brianza e Santa Maria Hoè, nel territorio del Meratese. Scende con una modesta portata e frequenti cascatelle fino a Olgiate Molgora (fino qui si trova nel PLIS del Monte di Brianza, successivamente entra nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone) ove raccoglie altri piccoli corsi d’acqua e comincia ad assumere i connotati di un torrente. Prosegue quindi verso Osnago attraversando la valle cui dà il nome, entrando nel Parco Agricolo Nord Est in territorio di Ronco BriantinoAd Usmate Velate raccoglie le acque del Molgoretta, a Vimercate aumenta anche la profondità: vi sono “buche” di oltre un metro.

Fino a questo punto, anche per la presenza di ceppo (vedi la pagina geologia), le sponde sono più incise e l’ampiezza non supera la decina di metri. Più a valle il torrente, superata Caponago, entra a Pessano con Bornago, dove sottopassa il canale Villoresi ricevendone parte delle acque, con un manufatto chiamato in brianzolo e in milanese “tri boch de pessàn”.

Nel suo percorso, almeno nei tratti fuori dei centri abitati, si allarga progressivamente e assume andamento più marcatamente meandriforme. Finisce il suo tratto entro il PLIS del Parco Agricolo Nord Est all’altezza del Comune di Bussero e successivamente il torrente passa sotto anche al Naviglio Martesana a Gorgonzola, con un semplice ponte che contiene naviglio e alzaia, entrando successivamente nel Parco Agricolo Sud Milano. Il torrente Molgora scende poi verso Cassina de’ Pecchi e Melzo; a sud di Melzo delimita il confine tra la provincia di Milano e quella di Lodi, tra i comuni di Truccazzano e Comazzo, fino alla confluenza nella Muzza (entro il Parco Regionale Adda Nord), che a sua volta sfocia nel fiume Adda.

La Molgora, Foto di L. Raffa

Il torrente Molgoretta

Il Molgoretta è un corso d’acqua a carattere torrentizio che scorre per 10 chilometri in prevalenza in provincia di Lecco e solo per un breve tratto, coincidente a quello nel Parco Agricolo Nord Est, in provincia di Monza e Brianza. La sorgente di questo ruscello è localizzata nella Valle Santa Croce, compresa nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle di Curone, e precisamente nel territorio del comune di Missaglia (LC). Il Molgoretta riceve poi le acque del Curone a Osnago e quelle del Lavandaia a Lomagna, per poi entrare nel PLIS P.A.N.E. e gettarsi da destra nel torrente Molgora a Usmate Velate (MB).

Il rio Vallone

Il rio Vallone è un corso d’acqua con una portata idrica molto instabile: per lo più asciutto nella maggior parte dell’anno, può tornare a riempirsi in caso di forti piogge e percorre il settore orientale del parco per tutta la sua lunghezza .

Ha un’origine artificiale che risale al XV secolo.

Nasce dal lago di Sartirana, in territorio comunale di Merate. Nel 1476 furono iniziati i lavori di costruzione della roggia Verderio (chiamata poi dal 1727 roggia Annoni), la roggia è un emissario artificiale del lago di Sartirana e fu costruito per portare acqua irrigua al territorio di Verderio, in particolare alla Cascina Bergamina.

La roggia ha un percorso tortuoso di circa 10 km e attraversa diversi comuni, viene inoltre rimpinguata dall’acqua che arriva dal fontanone di San Rocco e dal laghetto di Novate (entrambi attualmente in comune di Merate). Il fontanone è una sorta di laghetto di acqua sorgiva, aperto e costruito nel 1600, mentre il laghetto di Novate è un invaso dove l’acqua, attraverso una serie di chiuse, veniva raccolta nei periodi di grande pioggia per essere poi usata per l’irrigazione nei periodi di siccità.

Una volta arrivata a Verderio, in località Bergamina, si scaricava nei prati e in due diramazioni secondarie. L’acqua in esubero prendeva la direzione verso Cornate e qui confluiva in un alveo naturale, da questo punto prende il nome di Rio Vallone.

Il Rio Vallone confluisce nel sistema delle Trobbie.

Il sistema delle Trobbie è composto da diversi corsi d’acqua riconosciuti con il toponimo di Trobbia:

  • il torrente Trobbia di Gessate, che nasce in prossimità dell’abitato del comune di Cambiago, in corrispondenza della confluenza dei torrenti Cava e Pissanegra, scorre in direzione nord-sud e attraversa diversi comuni tra cui Cambiago, Gessate, Bellinzago Lombardo
  • la roggia Trobbia di Masate, la quale a sua volta riceve i contributi di diversi corsi d’acqua, tra cui:
    • rio Vallone, che nasce nel settore di alta pianura terrazzata tra Verderio e Cornate d’Adda e scorre in direzione nord-sud, attraversando i territori dei comuni di Verderio, Cornate d’Adda, Mezzago, Busnago, Roncello, Masate e Gessate
    • cavo Vareggio, che nasce a Cornate d’Adda e scorre in direzione nord-sud, attraversando i territori dei comuni di Cornate d’Adda, Busnago, Roncello e Basiano
    • cavo Ambrosina, che nasce a Busnago e attraversa i territori dei comuni di Grezzago, Trezzano Rosa e Basiano.

I due rami di Gessate e di Masate si ricongiungono, a valle del Comune di Bellinzago Lombardo, costituendo la roggia Trobbia, anche detta roggia Visconti o roggia Pizzavacca.

In corrispondenza dell’abitato di Gessate è stato realizzato un canale scolmatore per ridurre il deflusso di piena del Trobbia di Gessate nel tratto in cui il torrente stesso attraversa i centri abitati di Gessate e Bellinzago Lombardo. Questo canale scolmatore, a monte dell’attraversamento con il Naviglio Martesana riceve le acque della roggia Trobbia di Masate, e poi, mediante un sistema di paratoie, riversa gran parte delle portate di piena nel Naviglio Martesana, mentre una piccola parte sottopassa il Naviglio stesso e prosegue a valle fino al ricongiungimento con il ramo di Gessate. Da qui si forma la roggia Trobbia, che confluisce poi nel canale Muzza, poco a monte del punto in cui quest’ultimo riceve le acque del torrente Molgora.

Il canale Villoresi

Il Canale Villoresi è l’ultimo nato tra quelli della rete di canali artificiali del milanese, compiuto verso la fine dell’Ottocento. In quegli anni di crisi per l’agricoltura lombarda, per poter ottenere un migliore sfruttamento della prima fascia dell’Alta pianura asciutta a nord di Milano, tradizionalmente povera d’acqua, l’ingegnere agronomo Eugenio Villoresi propose la costruzione di un canale che potesse ricevere acqua dal Ticino.

La sua costruzione cominciò nel 1882 e terminò nel 1891, prelevando acque dal Ticino (a Somma Lombarda), per poi riversarle nell’Adda (presso Groppello nel comune di Cassano d’Adda) dopo aver tagliato per circa 86 km il territorio a nord di Milano. I canali secondari derivati dal Villoresi hanno certamente favorito nel corso della sua storia un aumento della produzione agricola e una valorizzazione delle terre da essi bagnate. Dal Canale Villoresi si dipartono infatti una serie di canali derivati; quelli derivati direttamente dal Villoresi vengono detti “secondari (per una lunghezza complessiva di 130 km); quelli derivati dai canali secondari vengono detti “terziari” (per un totale di 1300 km). Questa rete di canali (considerando la rete derivata ancora più minuta si raggiunge un totale di 2000 km) consente la coltura del prato irriguo, in passato utilizzando la tecnica del prato marcitoio. L’acqua è presente nel canale secondo un calendario di apertura e chiusura fissato dal consorzio di gestione (Consorzio di Bonifica Est Ticino-Villoresi); fino al 2015 esclusivamente da metà aprile a metà settembre, oggi è previsto un periodo più ampio di presenza di acqua nel canale, specialmente nel tratto a monte di Monza, dove sono state realizzzate delle piccole centrali idroelettriche.

Il canale Villoresi, Foto di L. D’amato

Gli stagni

Quasi tutti gli stagni nel Parco (detti localmente anche “foppe”) sono legati all’intervento dell’uomo. L’attività di cavazione sui terreni ricchi di argilla dei terrazzi fluvioglaciali più antichi tra la fine dell’800 e la metà del ‘900, successivamente abbandonata, ha determinato la situazione idonea per la loro spontanea formazione: zone depresse e con il fondo impermeabile colmate da acqua piovana; oggi se ne aggiungono di nuovi grazie all’intervento diretto del Parco, appositamente realizzati per la conservazione di varie specie animali, in particolare degli anfibi, per i quali queste raccolte d’acqua di modesta estensione rappresentano un habitat riproduttivo ideale.

Sono una trentina gli stagni presenti nel territorio del Parco.,

Lungo le loro sponde troviamo una vegetazione (più spesso dominata dalla tifa, mista a cannuccia di palude negli stagni più grandi) che consente il rifugio di vari animali di piccole dimensioni; questa tende però negli specchi d’acqua poco profondi a occupare tutta la superficie provocandone il naturale interramento.

Gli insetti come le libellule, animali eleganti e dal volo scattante e veloce, sono presenze silenziose, ma ben visibili. Alcuni uccelli approfittano delle pozze d’acqua per abbeverarsi d’estate o per riposarsi durante le migrazioni, arrivando a nidificare solo negli stagni più grandi.

Negli stagni, le condizioni d’insieme dell’ambiente rendono impossibile la presenza di molte specie ittiche esigenti: la temperatura, di fondamentale importanza per i pesci, d’estate può superare i 25° – 30°C, mentre già in autunno, le acque si raffreddano rapidamente e la superficie in inverno può anche ghiacciare.

Per evitare che questo sistema ecologico continui ad ospitare solo ed esclusivamente specie adatte, è vietata l’immissione di animali o piante. Specie originarie di altri continenti quali le tartarughe palustri americane e i pesci rossi, acquistate nei negozi o vinti alle fiere, se liberati negli stagni possono prendere il sopravvento e far sparire quasi completamente ogni altra forma di vita, specialmente gli anfibi.

Gli stagni al castagneto di Bernareggio